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La vacanza? Con cane e gatto per 6,5 milioni di italiani

Le vacanze estive rappresentano un momento di relax e divertimento per molte persone, e sempre più spesso i proprietari di cani e gatti decidono di portare con sé i propri amici a quattro zampe. Secondo un’indagine commissionata da Facile.it all’istituto di ricerca EMG Different, quest’anno più di 6,5 milioni di proprietari di animali domestici trascorreranno le ferie in compagnia dei loro fedeli compagni.

Il 69% dei cani parte con il padrone

Nel caso dei cani, il 69% dei padroni ha dichiarato di portare con sé Fido durante le vacanze, mentre la percentuale si riduce al 33% per i gatti. Nonostante l’aumento dei costi delle spese familiari nell’ultimo anno, oltre il 73% dei proprietari di animali domestici si è detto disposto a spendere di più per l’alloggio al fine di garantire maggiori servizi per i loro amici a quattro zampe. Dall’indagine è emerso che la maggioranza delle persone che viaggiano con i loro animali preferisce alloggiare in una casa di proprietà (32%), seguita dall’affitto di una struttura (25%) e dagli alberghi, agriturismi, hotel e B&B (24%). Per quanto riguarda i mezzi di trasporto, quasi il 90% dei padroni si sposterà in auto, mentre il 10% sceglierà l’aereo, con una percentuale più alta (14%) nel caso dei viaggi con i gatti.

Sicuri in viaggio

Nonostante la crescente tendenza a portare con sé gli animali, c’è ancora una parte dei proprietari che trasporta in modo scorretto i loro amici a quattro zampe. Secondo l’analisi, il 4% degli italiani, ovvero più di 270.000 persone, non utilizza i dispositivi di sicurezza previsti dalla legge e tiene i propri animali sulle gambe durante i viaggi in auto. Questa pratica è non solo illegale e rischiosa per l’animale, ma anche per i passeggeri del veicolo. In caso di incidente stradale, un’assicurazione per animali domestici non coprirebbe le lesioni subite dall’animale. 

Ancora poche assicurazioni formato pet

L’indagine ha inoltre messo in luce che molti proprietari non pensano ancora a tutelare i propri animali con un’assicurazione che li protegga da imprevisti durante le vacanze. Solo il 29% dei “padroni” ha sottoscritto una polizza assicurativa, un dato in aumento rispetto all’anno scorso, ma comunque ancora basso. La percentuale sale al 36% per i cani, ma scende al 17% per i gatti. Tuttavia, il 14% dei proprietari ha dichiarato di essere intenzionato a stipulare un’assicurazione in futuro. Oltre alla copertura per danni a terzi e rimborso delle spese veterinarie, alcune polizze offrono servizi specifici per le vacanze, come assistenza veterinaria telefonica e supporto nell’organizzazione di viaggi “pet-friendly”.

Parole e generazioni: ogni età ha il suo linguaggio

La Generazione Z, composta dalla fascia di popolazione più giovane, rischia di essere “bocciata” in italiano. O meglio, il grande accusato è lo slang parlato dai ragazzi di oggi, che evidentemente non piace agli italiani un po’ più grandi. Secondo un’indagine condotta da Preply, il 57% dei cittadini non è affatto favorevole alle parole più comuni utilizzate nello slang giovanile. 

“Bro” è il termine gergale che piace meno ai più grandi

In cima alla lista delle parole che vengono abbreviate, acronimi, idiomatismi, anglicismi e altro ancora, che possono rendere una conversazione sostanzialmente incomprensibile per molti, c’è la parola “Bro”, abbreviazione dell’inglese “brother” utilizzata come appellativo tra coetanei. Seguono l’inossidabile “Scialla” e “boomer”, epiteto utilizzato per sottolineare la “lentezza” con cui le persone di età compresa tra i 60 e i 70 anni percepiscono le trasformazioni tecnologiche. L’indagine, condotta su circa 1.600 madrelingua italiani, ha rivelato che le espressioni più difficili da comprendere includono “Che sbatti”, quando non si ha voglia di fare nulla, “Gls”, abbreviazione per “già lo sai”, e il sempre popolare “amò”, abbreviazione affettuosa di “amore”. 

L’89% degli italiani utilizza qualche parola ‘giovane

D’altra parte, l’89% degli italiani ammette di utilizzare qualche termine dello slang, mentre quasi 1 su 5 lo utilizza abitualmente nella maggior parte delle conversazioni. Tra le frasi gergali più conosciute, “postare”, “un botto” e “spoilerare” si aggiudicano il podio insieme a “mai ‘na gioia”, “inciucio” e “bella”, che ormai sostituisce il saluto amichevole. Solo per gli intenditori o gli abituali utilizzatori dello slang, invece, sono familiari termini come “abbuco”, “bibbi”, “bae” e “simp”.

Lo slang? Si impara sul web e sui social

Ma dove viene imparato lo slang? Il 59% lo assorbe da Internet o dai social media, il 43% dagli amici e il 18% dalla famiglia. Sebbene il 13% degli italiani ritenga appropriato utilizzare lo slang anche in contesti professionali, solo il 4% avrebbe il coraggio di farlo di fronte al proprio capo.
In sintesi, l’indagine Preply sottolinea come la Generazione Z sia soggetta a critiche per l’uso dello slang, con parole abbreviate e acronimi che possono risultare incomprensibili per molti. Tuttavia, la ricerca evidenzia anche un ampio utilizzo di termini gergali da parte degli italiani, anche se in misura inferiore, e sottolinea l’importanza di contestualizzare l’uso dello slang, evitandolo in ambito professionale e adattandolo alle situazioni appropriate.

Network aziendale: come sfruttarne tutte le potenzialità?

È quanto emerge dalla ricerca globale pubblicata da HPE Aruba Networking: sebbene tre quarti dei responsabili IT intervistati ritengono la digitalizzazione fondamentale per consentire ai dipendenti di svolgere il proprio lavoro, e per attrarre e trattenere i talenti, solo il 55% vede la forte rilevanza del network aziendale in queste aree. Di fatto, sono sempre più numerose le organizzazioni a livello globale a dimostrarsi consapevoli dell’impatto del network sugli obiettivi aziendali, ma rimane la necessità di sbloccarne tutto il potenziale. Nonostante la continua richiesta di lavoro ibrido, i leader IT non riescono infatti a comprendere appieno la connessione tra il network aziendale e le competenze dei dipendenti.

La rete è “solo” uno strumento per la trasformazione digitale

IT e business leader riconoscono sempre più le potenzialità e la portata dell’impatto del network, ma secondo il 44% dei leader IT il network è visto dalla propria azienda e dalla sua leadership principalmente come uno strumento per la trasformazione digitale, e il 33% afferma che la propria organizzazione ritiene che esso svolga un ruolo più ampio nella trasformazione del business.
Al contrario, solo il 23% afferma che la propria organizzazione considera la rete solo per la sua connettività funzionale. Tuttavia, i risultati hanno anche evidenziato la mancanza di capacità di identificare la rete come origine di questa trasformazione, in particolare, per quanto riguarda la valorizzazione dell’esperienza dei dipendenti.

Ancora poco impatto sull’experience dei dipendenti

Poiché il riconoscimento dell’importanza del network per l’attrazione e la fidelizzazione dei dipendenti si colloca all’ultimo posto di tutte le aree aziendali indicate, non sorprende che questa sia anche l’area in cui i leader IT ritengono che il network abbia attualmente l’impatto minore o meno positivo.
Questo diventa ancor più evidente se si considera ciò che le reti odierne sembrano in grado di offrire. Solo il 43% dei responsabili IT afferma infatti che il proprio network consente al personale di lavorare da qualsiasi luogo, e solo il 34% concorda sul fatto che il network è in grado di offrire una connettività continua. Inoltre, per quanto riguarda la personalizzazione digitale, sono ancora meno (29%) coloro che affermano che il loro network consente di offrire ai dipendenti un servizio BYOD (Bring-Your-Own-Device).

Maggiori investimenti per efficienza IT, efficienza operativa, e cybersecurity

Le tre correlazioni più forti che i leader IT hanno stabilito tra il network e le varie aree di business sono efficienza IT, efficienza operativa e sicurezza informatica. Queste sono anche le aree in cui gli intervistati vedono il maggiore impatto del network, e dove coloro che hanno investito nella rete negli ultimi due anni vedono i maggiori risultati di business.
In compenso, coloro che non sono stati in grado di investire nella rete hanno registrato in media un impatto positivo inferiore del 21% in tutte le aree di business. Per sbloccare il vero potenziale della rete, quindi, il budget deve essere destinato all’infrastruttura più appropriata, in grado di modernizzare tutti gli aspetti delle operazioni di rete.

Troppe “chiacchiere” al cellulare fanno alzare la pressione

Un nuovo studio ha dimostrato che parlare al cellulare per più di 30 minuti a settimana aumenta del 12% il rischio di sviluppare pressione alta o ipertensione. Il fenomeno sarebbe dovuto al fatto che i telefoni cellulari emettono bassi livelli di energia a radiofrequenza, che a sua volta è stata collegata all’aumento della pressione sanguigna dopo un’esposizione a breve termine. L’ipertensione è un importante fattore di rischio per infarto e ictus ed è una delle principali cause di morte prematura a livello globale. Lo rivela un nuovo studio condotto in Cina

Quello che fa la differenza è il tempo

“È il numero di minuti che le persone trascorrono a parlare su un cellulare che conta per la salute del cuore. Più tempo trascorso al telefono rappresenta un rischio maggiore”, ha dichiarato l’autore dello studio Xianhui Qin della Southern Medical University, Guangzhou, Cina.

Oltre 200.000 mila persone coinvolte nella ricerca

La ricerca ha coinvolto un totale di 212.046 adulti di età compresa tra 37 e 73 anni senza ipertensione. Gli utenti di telefoni cellulari, che utilizzavano il dispositivo almeno una volta alla settimana, avevano un rischio del 7% maggiore di sviluppare ipertensione rispetto ai non utenti. Coloro che parlavano al cellulare per 30 minuti o più a settimana avevano una probabilità superiore del 12% di incorrere nell’insorgenza di ipertensione rispetto ai partecipanti che trascorrevano meno di 30 minuti attaccati al telefono. 

Conta anche la genetica 

Un’analisi del rischio genetico ha poi messo in evidenza che la probabilità di sviluppare l’ipertensione era del 33% più alta negli individui con un alto rischio genetico e che trascorrevano almeno 30 minuti a parlare al telefono rispetto a quelli con un basso rischio genetico e parlavano al telefono per meno di 30 minuti. In sintesi, l’abbinata genetica-uso intensivo del cellulare è un fattore di rischio ulteriore, che aumenta di un terzo la possibilità di incorrere in problemi di salute.

Viva voce o cuffie? Non cambia nulla

L’utilizzo di una configurazione a mani libere non ha avuto alcuna influenza sulla probabilità di sviluppare la pressione alta. Anche se questo studio borisce una precisa indicazione sul corretto utilizzo del cellulare, serviranno ulteriori approfondimenti in merito. Servono infatti nuove ricerche per confermare i risultati, ma fino ad allora sembra prudente ridurre al minimo le telefonate per preservare la salute del cuore.

Il Design Thinking crea il futuro desiderabile per le aziende

Come processo di innovazione che integra capacità analitiche con attitudini creative, il Design Thinking si sta affermando come supporto per le aziende a immaginare il futuro desiderabile. Per gestire la trasformazione necessaria a creare un futuro desiderabile però le aziende devono essere capaci di equilibrio e adattamento strategico. E sono le tecnologie digitali, in particolar modo l’AI, ad aiutare a facilitare il processo creativo.
Lo spiega la ricerca dell’Osservatorio Design Thinking For Business della School of Management del Politecnico di Milano, che ha individuato tre diversi approcci per le aziende che vogliono immaginare e creare futuri desiderabili: foresight, entrepreneurship-as-design, discursive design.

Foresight, entrepreneurship-as-design, discursive design

Il foresight è un approccio sistematico e strutturato per pensare al futuro analizzando tendenze, driver e incertezze, e utilizzare queste informazioni creando una gamma di possibili scenari. L’entrepreneurship-as-design implica invece l’applicazione dei principi del pensiero progettuale al processo di imprenditorialità, identificando e creando opportunità che possano portare allo sviluppo di nuovi prodotti, servizi o attività. Un approccio che sottolinea quindi l’importanza di creatività, innovazione e sperimentazione nel processo imprenditoriale. Quanto al discursive design, si basa sull’idea che il design sia un processo sociale che coinvolge designer, stakeholder e utenti nel processo di progettazione. Considera il design uno strumento non solo per creare prodotti o servizi, ma anche sistemi e strutture sociali.

Adattamento strategico ed equilibrio

Per gestire la trasformazione necessaria a creare un futuro desiderabile nelle organizzazioni serve adattamento strategico ed equilibrio nella progettazione del futuro. L’adattamento strategico garantisce che le azioni intraprese per modellare il futuro siano coerenti con la strategia e gli obiettivi generali dell’organizzazione. Equilibrio significa invece garantire che tali azioni siano equilibrate in termini di rischio, complessità e impatto. Nel valutare la progettazione del futuro, l’Osservatorio considera quattro dimensioni: plausibilità (il grado con cui le azioni intraprese per modellare il futuro sono realistiche e fattibili), novità (innovative), significatività (allineate a valori e obiettivi dell’organizzazione), desiderabilità (attraenti e convincenti per le parti interessate). Bisogna poi garantire che abbiano un impatto sugli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG).

Il futuro non può essere predetto, ma deve essere immaginato

“I futuri a 5, 10 anni non possono essere predetti, ma devono essere immaginati e co-progettati da diversi stakeholder – spiega Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. Inoltre, per renderli possibili devono essere perseguiti attraverso una serie di azioni nell’oggi che influenzano il domani. Proprio per questo l’osservatorio quest’anno ha cercato di comprendere come tre approcci differenti influenzassero la percezione rispetto al desiderio, valore e probabilità di accadimento dei futuri immaginati e modellati, mostrando come un approccio di design possa facilitare tale processo”.

Metaverso: ricavi oltre al 40% nei prossimi 10 anni

Circa il 30% delle aziende italiane ed estere ha già avviato o intende investire nella sperimentazione e adozione delle principali tecnologie emergenti, tra cui il metaverso, e il 25% intende farlo nel breve periodo. Nel prossimo decennio si prevede inoltre una crescita considerevole dell’impatto del metaverso sul portafoglio dei servizi e prodotti offerti. E oltre il 40% delle aziende ritiene che il tasso di crescita medio dei ricavi nel metaverso nei prossimi 10 anni sarà superiore al 40%. Tuttavia, solo il 28% intende investire più del 15% del budget nella sperimentazione di nuove soluzioni nel metaverso, mentre il 19% prevede di investire più di 200mila euro nel corso del 2023. È quanto emerge dal report Web 3.0: metaverso e nft, realizzato da EY, in collaborazione con il Centro di ricerca in strategic change di Luiss Guido Carli.

Gli ambiti di applicazione

I principali ambiti di applicazione del Web 3.0 sui quali si intende investire sono la customer experience (garantire esperienze multisensoriali attraverso la creazione di luoghi virtuali immersivi), la formazione 4.0 (apprendimento e sviluppo delle competenze nel metaverso), il metaverse marketing (aumentare la visibilità e rafforzare l’immagine del brand), e il new way of working, ovvero abilitare un nuovo modo di lavorare attraverso l’organizzazione di incontri virtuali per una maggiore inclusività. Non mancano però critiche, perplessità e dubbi sul Web 3.0, che riguardano gli ingenti costi di investimento e l’incertezza dei ricavi, e la poca chiarezza circa le reali potenzialità/opportunità. Inoltre, la normativa vigente non risulta essere completamente adeguata a rispondere ai diversi scenari abilitati dal Web 3.0.

Gli nft come opportunità di crescita dei ricavi

Secondo il 48% del campione, sebbene si tratti di un mercato ancora in fase di espansione, gli nft offrono un’importante opportunità di crescita dei ricavi e hanno già dimostrato essere una realtà con potenzialità significative in svariati ambiti di applicazione. In particolare, diritti d’autore, collezionismo e marketing. La realizzazione di un ambiente come il metaverso coinvolge infatti anche alcuni asset di intellectual property (ip), come privative brevettuali, i brand, il diritto d’autore e della comunicazione. Analogamente, la realizzazione e commercializzazione di un nft non può prescindere dalla valutazione del rapporto con i diritti di proprietà intellettuale propri o di terzi.

L’impatto sul mondo del lavoro

Il report mette in evidenza le aspettative che gli operatori ripongono non solo rispetto ai loro investimenti nel metaverso, ma anche in termini di capacità e competenze richieste per l’attuazione di una strategia nel metaverso in ambito di risk and compliance. Inoltre, riferisce Adnkronos, le nuove tecnologie e le loro applicazioni potranno avere impatti innegabili anche sul mondo del lavoro. Tra gli aspetti principali da approfondire, il concetto di luogo di lavoro (con il superamento dei tradizionali vincoli di tempo, luogo e spazio), la formazione dei lavoratori, e le possibili ricadute sulla normativa in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Farina di insetti o carne in vitro? Le tendenze del nostro futuro alimentare

Il nostro futuro a tavola? Sembrerebbe meno appetitoso di quello attuale, almeno stando alle previsioni in fatto di tendenza food. I prodotti a base di insetti in Europa, entro il 2030, raggiungeranno 260 mila tonnellate per oltre 390 milioni di consumatori, mentre il mercato mondiale della carne in vitro ha già registrato investimenti da capogiro, pari a 1,3 miliardi. Sono alcune delle più evidenti tendenze alimentari, inquadrate nell’alveo del novel food, dal report Nomisma per la IX Conferenza economica di Cia-Agricoltori Italiani. 

Sdoganata la farina di insetti

Del resto è stata appena ‘sdoganata’ dalla Commissione Ue l’immissione sul mercato di farina di grillo e dunque, si registrerà, secondo Nomisma, nel giro di poco tempo, un maggior impiego di insetti come ingredienti nei prodotti alimentari e da qui ai prossimi tre anni, si prevede un calo produttivo degli insetti interi di quasi il 15%, mentre saliranno in media anche del 5% le vendite di pane, sostituti della carne e nutraceutici, a base di polvere di insetti.

Carne sì o carne no

La Food and Drug americana ha dato il suo via libera alla carne di pollo prodotta in laboratorio. Questo passaggio accende i riflettori sulle ambizioni latenti in Europa in questo senso, con le aziende di riferimento a livello mondiale, tra laboratori e start up, passate da 13 a 117 dal 2016 al 2022 e la produzione globale di carne in vitro che si prospetta al 2030 in aumento fino a 2,1 milioni di tonnellate.

“La carne sintetica – commenta il presidente di Cia, Cristiano Fini- va nella direzione opposta a quella che è la nostra idea di cibo, basata sulla valorizzazione delle nostre produzioni agricole e zootecniche, simbolo di alta qualità e identificative dei territori e delle tradizioni nazionali. Inoltre, si tratta di una produzione artificiale che finisce per costare di più in termini di sostenibilità ambientale e non garantisce migliore salute e nutrizione per i cittadini. Al momento -ha concluso Fini- c’è il rischio concreto che l’agricoltura venga ridimensionata con ovvie conseguenze sulle aree interne con il progressivo abbandono dei territori”.

Cosa è la carne in vitro? 

Come spiega Animal Equity, “la carne coltivata in vitro è conosciuta anche come clean meat (carne in vitro), in quanto non deriva dalla macellazione degli animali, ma si tratta di un prodotto che replica in laboratorio carne, pesce e uova. La tecnica consiste nel prelevare cellule muscolari e nutrirle con proteine che aiutano la crescita del tessuto. Una volta che il processo è partito, teoricamente è possibile continuare a produrre carne all’infinito, senza aggiungere nuove cellule da un organismo vivente”. 

Grate di sicurezza: la soluzione per azzerare i furti in casa

Il problema dei furti in casa è da sempre fonte di preoccupazione per tantissime persone, soprattutto quelle che vivono ai piani bassi.

Un furto in casa non rappresenta soltanto un danno economico, ma anche una violazione della privacy ed il venir meno della sicurezza della persona quando si trova tra le mura domestiche.

Statistiche sui furti in casa

Le statistiche ci di dicono che i furti in casa sono molto più frequenti in quelle abitazioni che non sono dotate di sistemi di sicurezza adeguati.

Tra l’altro, le finestre rappresentano uno dei punti deboli per quanto riguarda la sicurezza di una casa, poiché rappresentano una facile via d’accesso per i ladri, soprattutto quando vengono lasciate aperte.

Come funzionano le grate di sicurezza

Tra le altre, una soluzione efficace per prevenire questo tipo di reato da considerare sono le grate di sicurezza per le finestre.

Le grate di sicurezza sono caratterizzate da una solida struttura metallica che viene installata a protezione delle finestre.

Queste “griglie” sono progettate per resistere ai tentativi di scasso e dunque essere difficili da forzare, rendendo praticamente impossibile l’entrata in casa ai malintenzionati.

Inoltre, le grate di sicurezza possono essere personalizzate per adattarsi alle esigenze estetiche di ogni edificio.

Tipi di grate di sicurezza

Esistono principalmente due tipologie di grate di sicurezza, ecco quali:

  • Grate fisse: queste griglie sono definitivamente installate alle finestre e non possono essere rimosse. Sono particolarmente adatte per le finestre al piano terra o per quelle che danno su strade trafficate.
  • Grate apribili: queste griglie possono essere aperte e chiuse per permettere di affacciarsi o favorire l’ingresso di aria e luce, ma non possono essere rimosse.

Benefici delle grate di sicurezza

Oltre a prevenire i furti in casa, le grate di sicurezza offrono anche altri benefici, tra cui:

  • Maggiore sicurezza: le griglie impediscono l’accesso non autorizzato alla casa, offrendo a tutti  i componenti della famiglia un grande senso di sicurezza.
  • Valore dell’immobile: la presenza di griglie di sicurezza contribuisce a far aumentare il valore dell’immobile in cui vengono installate.
  • Estetica: le grate di sicurezza possono essere personalizzate per adattarsi allo stile dell’edificio, così da non “stonare” ma al contrario adattarsi al contesto.

Le inferriate di sicurezza rappresentano dunque una soluzione efficace per proteggere la propria abitazione dai ladri. Una volta installate, rendono praticamente impossibile l’ingresso non autorizzato in casa, aumentando notevolmente la sicurezza di tutti i componenti della famiglia.

Non solo, l’installazione di inferriate di sicurezza può anche aumentare il valore dell’immobile, poiché sono considerate una miglioria appetibile per molti acquirenti.

Inoltre, le inferriate sono disponibili in una grande varietà di stili e finiture, quindi è possibile scegliere quelle che si adattano meglio all’estetica dell’edificio, senza comprometterne l’aspetto.

Costi delle grate di sicurezza

I costi delle grate di sicurezza variano a seconda del tipo di modello prescelto e delle dimensioni delle finestre.

Tuttavia, dato che esse possono prevenire i furti in casa e aumentare il valore dell’immobile, possono essere considerate un investimento a lungo termine.

Considera inoltre che coloro i quali che installano grate di protezione per la loro abitazione, possono dedurre il 50% delle spese sostenute dalla loro dichiarazione dei redditi, con un massimo di € 96.000 per ogni immobile.

Conclusione

Le grate di sicurezza sono una soluzione efficace per prevenire i furti in casa e garantire maggiore sicurezza e tranquillità a tutta la famiglia.

Esistono diverse tipologie di grate disponibili, le quali possono essere personalizzate per adattarsi alle esigenze di ogni appartamento così come a quelle dell’intero edificio.

Di sicuro, installare le grate di sicurezza alle finestre può azzerare i furti in casa e rappresentare un investimento a lungo termine.

Pmi: perchè il welfare aumenta produttività e fatturato?

Il rapporto Welfare Index Pmi, promosso da Generali Italia in collaborazione con Cerved, analizza la correlazione degli indici di welfare con i bilanci di circa 2.600 imprese dal 2019 al 2021, valutando il contributo del welfare aziendale alla resilienza del sistema produttivo. Oggi il welfare aziendale ha raggiunto un alto livello di maturità e continua a crescere la consapevolezza del ruolo sociale nelle Pmi. Oltre il 68% delle Pmi italiane ha superato il livello base di welfare aziendale, e raddoppia il numero di quelle con livello molto alto/alto, passando dal 10,3% del 2016 al 24,7% del 2022.
Ma il welfare aziendale non è più solo appannaggio delle grandi imprese.

Raddoppiano le microimprese con elevato livello di welfare 

Se la quota con livello elevato di welfare è del 70,7% tra le Pmi con oltre 250 addetti, e del 66,8% in quelle tra 101-250 addetti, raddoppiano le microimprese con un livello elevato di welfare: dal 7,7% nel 2017 al 15,1% nel 2022. Di fatto, le imprese con un welfare più evoluto ottengono performance di produttività superiori alla media, crescendo più velocemente nei risultati economici e nell’occupazione. Ad esempio, nel 2021 l’utile sul fatturato delle aziende con livello di welfare molto alto è doppio rispetto a quello delle aziende a livello base (6,7% vs 3,7%), e altrettanto grande è il divario nel Mol (Margine Operativo Lordo) pro-capite, che misura la produttività per singolo addetto.

Più resilienza alla crisi

Tra le imprese con livello molto alto di welfare aziendale l’indice di produttività Mol/fatturato è passato dal 9,4% nel 2019 all’11% nel 2021. Tra quelle con un livello base l’incremento è stato dello 0,2%. Anche gli indici di redditività seguono la stessa dinamica. La correlazione tra livelli di welfare aziendale e risultati economici mostra che le Pmi con un welfare più evoluto hanno tenuto meglio durante la pandemia e dimostrato maggiore slancio nella ripresa. Tra le imprese appartenenti ai settori più colpiti dalla crisi, dal 2019 al 2021 il Mol è cresciuto del 50,5% tra le Pmi con livello elevato di welfare, mentre è diminuito del 15% tra quelle con livello base.
Allo stesso modo, l’indice di redditività (utile/fatturato) è cresciuto del 2% tra le prime e dello 0,4% tra le seconde.

Dieci aree di misurazione

Lo stato del welfare nelle Pmi misura dieci aree: Previdenza e protezione, Salute e assistenza, Conciliazione vita-lavoro, Sostegno economico ai lavoratori, Sviluppo del capitale umano, Sostegno per educazione e cultura, Diritti, diversità, inclusione, Condizioni lavorative e sicurezza, Responsabilità sociale verso consumatori e fornitori, Welfare di comunità.  Di queste, le imprese sono più impegnate in Sicurezza e condizioni lavorative (74% delle Pmi con livello alto/molto alto), Welfare di comunità (66,5%), Diritti, diversità e inclusione (47,8%) e Formazione e sviluppo del capitale umano (40,6%). 
Gli ambiti di impatto sociale più importanti sono: promozione del lavoro e mobilità sociale, possibilità offerta ai giovani di raggiungere un’occupazione stabile, e sostegno a diritti e pari opportunità per le donne lavoratrici.

Non riesco a trovare lavoro: perché?

Si sa che trovare lavoro oggi non sia un avventura facilissima, ma certe volte sembra proprio che il fato remi contro. C’è chi si preoccupa già dopo qualche giorno dall’aver mandato i primi curricula, ma c’è anche chi a distanza di mesi, nonostante l’impegno, non ha ottenuto riscontri. Perché in alcune occasioni risulta effettivamente così difficile trovare un nuovo lavoro, con la ricerca che si prolunga insopportabilmente nel tempo? I fattori possono essere davvero tanti, come spiega l’head hunter Carola Adami fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting. Le principali ragioni per cui non si ottengono le risposte desiderate si possono raggruppare in due macrogruppi: “Da una parte ci sono tutti i fattori che dipendono dall’esterno, sui quali non è possibile intervenire; pensiamo per esempio ai momenti di recessione, oppure alle stagionalità dei diversi settori. Dall’altra parte ci sono invece i fattori endogeni, legati al candidato stesso, relativi alla sua esperienza professionale, alla sua personalità, e al suo modo di presentarsi; su questi è ovviamente possibile intervenire”.

Le mosse da fare subito

Partendo da questa affermazione, appare evidente che è possibile lavorare su se stessi e sulla propria presentazione per proporsi in maniera più efficace ai selezionatori. Senza abbattersi, conviene concentrarsi sulla propria figura  per aumentare in modo concreto le possibilità di essere selezionati per l’assunzione al prossimo colloquio di lavoro. Ecco quindi alcuni consigli dell’esperta. Prima di rispondere a un annuncio di lavoro, assicurarsi sempre che quella possa essere la posizione giusta per le proprie competenze e i propri obiettivi: è sempre meglio effettuare poche candidature ben curate che perdere tempo a mandare 10 candidature al giorno. Aggiornare e migliorare il proprio curriculum vitae, ottimizzandolo in vista del ruolo per il quale si intende effettuare la prossima candidatura. Così facendo si avranno maggiori possibilità di passare la prima scrematura dei cv. Accompagnare sempre il cv con una lettera di presentazione scritta appositamente per quella candidatura, mostrando in queste poche righe qual è il valore aggiunto che si può apportare all’azienda. Quando possibile, allegare alla candidatura anche una lettera di referenze.

Il ruolo dell’immagine online

Anche la propria immagine online riveste un ruolo importante: meglio eliminare da Facebook eventuali contenuti che potrebbero allontanare un selezionatore, e completare invece il proprio profilo su LinkedIn. Sono infatti sempre di più i recruiter che, per avere maggiori informazioni su un candidato, effettuano delle ricerche online più o meno approfondite prima di decidere se convocarlo o meno a un colloquio di lavoro. Infine, è utile allenarsi in vista del colloquio, lavorando sulla propria presentazione, sulle risposte alle domande più frequenti e sull’esposizione dei propri punti di forza.